Le donne della Resistenza romana, di Carla Capponi, partigiana e parlamentare

Il giorno della liberazione di Roma dall’occupazione nazista “ci abbracciammo ridendo singhiozzando, senza lacrime chè tutta la pena di quei mesi ci strozzava la gola. Era il 4 giugno 1944”. Così termina il racconto di Carla Capponi, mitica partigiana romana, scomparsa nel 2000, che descrisse alcuni fatti salienti della partecipazione delle partigiane romane operaie, contadine, studentesse, impiegate, aristocratiche, casalinghe, suore, citando i loro nomi. Mentre di altre scrisse “troppe donne non sono state neppure riconosciute patriote e dei loro nomi del loro coraggio si è persa memoria”. Alla memoria di tutte loro, note ed ignote.

prologo e presentazione di Patrizia Cordone©   Luoghi di Donne, il blog di Patrizia Cordone©. Tutti i diritti d’autore riservati.

Nata a Roma in una famiglia benestante non esitò ad abbandonare gli agi, dopo l’8 settembre 1943 decise la militanza partigiana presso i Gap. Insofferente ai ruoli subalterni si distinse per determinazione coraggiosa per esempio con l’azione partigiana in via Rasella. Al compimento della Resistenza continuò il suo impegno sia come parlamentare che al risanamento delle borgate, coordinando l’attività delle donne nelle periferie romane. Questo suo scritto qui riportato é una delle rare testimonianze corali delle altre compagne di lotta, alcune di esse note, altre dimenticate, come lei stessa sottolineò con rammarico.

“Parlerò a nome e per conto di tutte le donne che a Roma nella provincia si schierarono nel 1943 dalla parte della pace contro la guerra, della libertà contro la dittatura, della vita contro la morte e suoi macabri riti.
Tante donne operaie, contadine, studentesse, impiegate, aristocratiche, casalinghe, suore. Tutte volontariamente, spontaneamente senza un ordine senza un appello se non quello del loro cuore scesero n campo trasformando la città, le campagne della provincia assediate saccheggiate bombardate in tanti rifugi segreti ove trovarono salvezza “i poveri figli di mamma”; i soldati di quell’esercito che Mussolini aveva portato alla guerra e alla disfatta.
C’é chi ha ironizzato sul numero dei partigiani riconosciuti “troppi”, é stato scritto “avete gonfiato il numero dei partecipanti”. Contro questa accusa e la presunzione di reinterpretare i fatti la storia di quei 212 giorni di occupazione nazifascista di Roma voglio portare un contributo di approfondimento di conoscenza, su chi, pur non combattendo con le armi ha lottato rischiando forse più di me con meno gloria. Troppe donne non sono state neppure riconosciute patriote e dei loro nomi del loro coraggio si è persa memoria.
Dovendomi limitare all’analisi dagli ultimi mesi quando si preparava la liberazione di Roma da parte degli alleati dovrei tacere del grande contributo di partecipazione civile dato dalle donne I’8 di settembre nei due giorni di combattimenti che seguirono per la difesa di Roma da parte dei militari. Consentitemi tuttavia di ricordare, perché è essenziale ai fini della comprensione del coinvolgimento delle masse femminili nelle operazioni di guerriglia che si svilupparono nei nove mesi successivi, come iniziò il loro impegno, la loro scelta di lotta. Nella battaglia combattuta dai militari, dalla Magliana alla Monetagnola, a Porta San Paolo 414 militari caddero nei combattimenti, ma ci furono anche a combattere con loro e a morire 156 civili monti e 27 donne che perirono portando soccorso ai feriti,  aiuto ai combattenti, tra di essi una decorata di M. A. V. M..
122 furono le donne arrestate portate a Via Tasso e a Regina Coeli, di loro molte furono deportate in Germania.
Dieci furono assassinate per le strade di Roma nelle dimostrazioni contro i rastrellamenti e negli assalti ai forni. Una fu uccisa a Viale G. Cesare sotto la Caserma dell’81° fanteria, mentre con altre centinaia di donne reclamava la liberazione dei duemila rastrellati costretti nella caserma, il suo nome è Teresa Gullace M. O. V. C.; I’altra in quello stesso giorno 3 marzo 1944, fu uccisa sui gradini della chiesa di Piazza dei Quiriti. Otto donne furono fucilate davanti al mulino del Forno Tesei a ponte di ferro, sul luogo fu messa una lapide con i nomi, che attualmente e scomparsa. Una nel cuore della Roma umbertina la signora Calò Carducci nei tentativi di impedire ai tedeschi che avevano fatto irruzione nella sua casa, di arrestare suo figlio con un gruppo di militari da lei nascosti, una uccise al Tiburtino Terzo, Maria Martinelli.
Grande la massa dei militari sbandati bloccati a Roma nell’impossibilità di rifugiarsi a sud oltre la linea Gustav per sfuggire alle fucilazioni o alla deportazione. Alto il numero dei prigionieri di guerra inglesi, americani, francesi fuggiti dai campi di prigionia bisognosi di essere nascosti, sfamati, vestiti.
Alto il numero dei funzionari, impiegati, lavoratori che piuttosto che aderire al Governo della Repubblica fascista, si diedero alla macchia passando nelle file della Resistenza. Una massa di uomini, tutti con la pena capitale già emanata per bando dai nazisti e dai fascisti, che trovarono, fin dall’8 settembre aiuto e salvezza nel coraggio e nella determinazione delle donne romane.
Roma aveva già subito bombardamenti, devastazioni a San Lorenzo, al Tiburtino ecc. la popolazione era stremata da tre anni di razionamenti; scarsi erano i rifornimenti per la distruzione delle vie di comunicazione e per aver accolto oltre centocinquantamila profughi fuggiti dalle città distrutte del Garigliano, da Cassino a Latina da Frascati a tutta la costa laziale.
Si disse dei romani che una metà di essi ospitava l’altra metà. Al primo momento di spontanea solidarietà e partecipazione seguì il momento dell organizzazione e fu per l’esperienza e l’opera dei componenti i partiti politici antifascisti, per la riorganizzazione dei militari nella clandestinità, con a capo il Colonnello Montezemolo, che si riuscì a creare una rete di collegamenti così efficiente da tener testa alla perfetta macchina poliziesca, repressiva, micidiale dei nazisti. Le donne che provenivano dalle file dei partiti politici antifascisti, molte delle quali uscite da pochi giomi dalle carceri, tornate dai confini delle isole, decisero di formare un comitato di coordinamento per le attività di assistenza e di appoggio alle forze combattenti civili e militari. Il comitato era composto da donne di varie esperienze politiche.
Alcuni nomi che ricordo: Clara Cannarsa, Adele Bei, Egle Gualdi, la Fancello Maria Maggi, Ebe Riccio, la Ripa di Meana, la principessa Doria, Marcella Lapicirella, Laura Lombardo Radice, Laura Garrone, Titina Maselli, Marisa Cinciari, le sorelle Bruni, la contessa Stelluti Scala ed altre.
Il Comitato di coordinamento nato a Roma possiamo dire che fu il primo abbozzo di quello che al nord prese il nome di ” Gruppi di difesa della donna” che organizzò più di settantamila donne, la gran parte delle quali, mai riconosciute né patriote, né partigiane. Nacquero i comitati di zona negli otto quartieri in cui era stata ridivisa Roma dalle forze della Resistenza che si collegavano al centro per mezzo delle giovani staffette. Molti e pesanti, sempre rischiosi, furono i compiti svolti nei nove mesi. Diffusione dei volantini con gli appelli alla popolazione romana o alle donne stesse. La diffusione dei giornali (io stessa ho avuto in casa fino alla fine del mese di dicembre, il centro dello smistamento della stampa clandestina per la quarta zona di Roma, dei giornali del partito comunista l’Unità, del partito d’azione “Risorgimento liberale”, dei cattolici comunisti la “Voce operaia”. Purtroppo a novembre fu individuata la tipografia di Via Basento dove furono arrestati: Leone Ginzburg, Gastone e Manlio Rossi Doria, l’architetto Mario Fiorentino e tutti i tipografi.
Erano quasi sempre le donne che andavano e venivano con i pacchi della stampa. I giornali dell’epoca avevano un solo foglio di piccole dimensioni, così da poterlo piegare e mettere in tasca o da poterlo infilare nelle buche delle lettere e sotto le saracinesche dei negozi. Alcune di queste postine sono divenute celebri: Titina Maselli, la Scialoia, Franca Anqelini, Giovanna Ribet, Laura Garroni (divenuta poi artificiere dei G. A. P. con il nome di Caterina), Marisa Cinciari, Anna Carrani della manifattura tabacchi, Nanda Coari, Maddalena Accorinti, Marina Ghireli, passata poi ai GAP, la Usiello moglie di un barbiere di Via del Boschetlo che aveva la responsabilità della diffusione della stampa tra le botteghe della zona Monti; la Perna, la Bruscani, Giuliana e Marcella De Francesco.
Sono le donne che trasportano le armi nella borsa della spesa attraverso la città, che prelevano i chiodi a tre punte dalle officine dell’ A..T.A.G. di Prenestino dalle officine del gas di San Paolo, ove vengono prodotti anche gli spezzoni che saranno usati per confezionare le bombe dagli artifcieri, Giorgio Labò, Gianfranco Mattei, Giulio Cortini, Laura Garrone, che saranno usate negli attacchi ai nazisti di Piazza Barberini, del Banhofoffiziers, della Stazione Termini, di Via Rasella, di Via Claudia, di Via Due Macelli e per decine di altre azioni.
Sono le donne che si organizzano per assalire i forni ove si panifica iI pane bianco per fascisti e nazisti. Gli assalti avvengono nei quatieri di Trionfale, Borgo Pio, via Leone Quarto davanti alla sede della delegazione, per protestare contro la sospensione della distribuzione di patate e farina di latte. A guidarle in questi quartieri sono le sorelle De Angelis, Maddalena Accorinti ed altre.
Sempre in via Leone quarto viene assalito il forno De Acutis, ma qui c’è il consenso dello stesso proprietario che distribuito il pane e la farina di latte si da alla clandestinità. Altri assalti avvengono in via Vespasiano, in via Ottaviano, in via Candia, al Tiburtino terzo durante lo sciopero generale indetto per il 3 maggio, ove viene uccisa dalla P. A. I. Maria Martinelli, madre di quattro bambini.
Sono le donne che accompagnano i prigionieri fuggitivi fuori città per collegarli ai nuclei partigiani dei Castelli Romani, a volte esse sono giovanissime come Gloria Chilanti (quattordici anni), che accompagnò un marinaio russo attraverso Roma, per metterlo in collegamento con i partigiani di Monterotondo.
Ognuno fa quanto è neecsssario con prudenza, con intelligenza, con astuzia, col cuore. A causa della mancata risposta dei Romani all’appello nazista per il lavoro obbligatorio, iniziarono i rastrellamenti per le vie ed i quartieri di Roma, il più massiccio fu quello condotto nel quartiere Quadraro durante la notte. Duemila uomini furono rastrellati strappandoli letteralmente dal letto nelle proprie case durante la notte, settecento di essi furono deportati in Germania.
Iniziano gli imponenti arresti nelle fila della Resistenza tra cui molte donne: Elettra Pollastrini, Lina Trozzi, Vera Michelion, arrestate sono condannate e deportate nel carcere duro in Austria.
Carla Angelini, Bianca Bucciarelli, la signora Fontana e la signora Rodriguez mogli di ufficiali dei Carabinieri, subiscono confronti crudeli, interrogatori durissimi, così Maria Teresa Regard, Iole Mancini, la Di Pillo e tante tante altre (122).
Nessuna di esse ebbe un cedimento furono con il loro silenzio, le piu dure e temibili avversarie della macchina di morte nazi-fascista. Un esercito solidale silenzioso senza divisa, senza gradi, senza il “soldo”; un esercito di volontarie della libertà che restituirono senso e valore al ruolo della donna nella società italiana, degradato ed offeso dalla teoria fascista di donne solo come delle fattrici di figli per la patria. Si organizzano gli scioperi nelle fabbriche romane ove lavorano le donne, alla manifattura tabacchi è Anna Carrani che organizza le operaie, mi collego con lei, inviata da Adele Bei, per fissare le modalità, i tempi e le richieste sindacali. La riunione avviene in una piccola osteria vicino Piazza Mastai, a via della Luce, nell’intervallo del pranzo, si stabilisce di dare inizio allo sciopero con una sola ora di sospensione dal lavoro, senza uscire dalla manifattura. Le richieste erano:aumento della razione del pane, indennità di bombardamento, aumento del salario. Lo sciopero si organizza per il primo di aprile così alla Stacchini di via Baccina ove le operaie formano una delegazione che avanza le stesse richieste. Sono avvertite le autorità fasciste e la prefettura, che intervengono promettendo i miglioramenti.
ll secondo sciopero è il 3 maggio: ottocento operaie restano fuori della manifattura per più di un ora per unire la loro protesta allo sciopero generale indetto per quel giorno, dal comitato quadripartito. Lo sciopero generale del 3 maggio riuscì solo parzialmente i successi si ebbero alla tipografia de “Il Messaggero”, ove tutti gli operai si astennero dal lavoro. Il giornale uscì con molto ritardo stampato alla meglio da tipografi raccattati in altri giornali. Il direttore Spampanato si vendicò compilando l’elenco degli assenti che consegnò ai tedeschi; 19 operai furono arrestati.
Importanti azioni sono compiute dai G.A.P. di zona dal 20 al 30 maggio. I componenti dei G.A.P centrali, i superstiti dei massicci arresti avvenuti per la delazione di Guglielmo Blasi andarono nella provincia sud di Roma nelle zone prossime al fronte. Gli alleati hanno promesso un “campo di lancio” con armi che sarà preannunciato da Radio Londra con la parola “la neve è caduta”.
“Giungemmo a San Lorenzo in tempo per vedere gli ultimi camion nazisti partire, apprendemmo da Gerratana che il C.N.L. romano aveva rinunciato all’insurrezione. Sapemmo poi che già dal 2 giugno era giunta disposizione in tal senso, concordata tra il governo di Salerno, gli alleati e il Vaticano.
Un ordine preciso ci giunse da Napoli da Togliatti: collaborare con gli alleati non intralciare il loro passaggio con inutili combattimenti contro i tedeschi. Bentivegna restò a San Lorenzo con un gruppo di partigiani di quella zona,io mi unii a un gruppo di partigiani della IV zona (centro storico), Lallo Bruscani, Nanda Coari e gli operai della tipografia ed occupammo il giornale “Il lavoro fascista”, in via Quattro Novembre. Ci raggiunsero Giacomo Pellegrini, Scoccimarro, Alicata, Emanuele Rocco appena uscito dal carcere di Regina Coeli e nei giorni seguenti Pintor con il volto tumefatto dalle torture subite dalla banda Koch ed altri, tirammo la prima copia de “l’Unità” libera e stampammo i primi striscioni di saluto agli Alleati, li attaccammo al vetro delle bacheche che erano all’esterno tutto intorno al fabbricato. Me ne tornavo con il fucile in spalla, il pennello e la colla in mano quando sul portone vedo arrivare le tre sorelle Mafai, Miriam, Simona e la piccola Giuliana. Ci abbracciammo ridendo singhiozzando, senza lacrime chè tutta la pena di quei mesi ci strozzava la gola. Era il 4 giugno 1944.”

Carla Capponi

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