Nawal El Saadawi, implacabile femminista egiziana.

Per il suo impegno femminista é stata incarcerata dal governo egiziano con l’accusa di “crimini contro lo stato”, minacciata dai fondamentalisti, costretta all’esilio nel 1988, ma non ha mai smesso di denunciare la crudeltà delle mutilazioni genitali e la condizione subalterna delle donne arabe, allertando però nel contempo dei rischi dell’oggettificazione e della mercificazione del corpo femminile in occidente. Tanti sono i suoi libri pubblicati e tradotti almeno in trenta lingue, i riconoscimenti ottenuti a livello internazionale e le interviste rilasciate ai più importanti giornali. Persino la Bbc le ha dedicato un documentario.

aggiornato a marzo 2021

articolo di ©Patrizia Cordone – Tutti i diritti d’autore riservati. Sono vietati il “copia-ed-incolla“, il plagio, la contraffazione dei contenuti e di tutti gli usi illeciti a danno della proprietà intellettuale. In ossequio alla normativa dei diritti d’autore e del copyright le infrazioni saranno perseguite con severità e senza indugio presso la competente autorità giudiziaria.

E’ stata descritta come una novella “Simone de Beauvoir del mondo arabo” e probabilmente non a torto. Nata in Egitto negli anni trenta ha vissuto anche come psichiatra curando le sue pazienti  i danni psicologici derivanti dalla pratica delle mutilazioni genitali femminili. Senza remore ha criticato l’opprimente cultura araba soprattutto attraverso i suoi numerosi libri di denuncia sperando una presa di coscienza ed il miglioramento delle condizioni di vita delle donne. Forse non invano grazie a lei ed altre donne, meno note all’occidente, ma ugualmente caparbie, se si considerano i recenti diritti conquistati in Egitto. Nata nel 1931 a Kafr Tahla, un piccolo villaggio, la sua è stata una famiglia numerosa, tradizionale e progressista al contempo. A causa della sua opposizione politica all’occupazione britannica durante la rivoluzione egiziana del 1919, il padre, funzionario del Ministero dell’Istruzione, subì l’esilio in una piccola città nel Delta del Nilo ed il blocco di avanzamento della sua carriera. La madre era di origini turche, le insegnò il rispetto di sé e seppure con moderazione fu sempre la sua alleata principale, sostenendo anche la sua ribellione contro le discriminazioni. Grazie al suo appoggio Nawal El Saadawi ha potuto compiere i suoi studi di scuola superiore ad Il Cairo ed ad Helwan, lontana da casa.

Tuttavia da bambina ha subìto la mutilazione genitale, a partire dalla quale ha iniziato a riflettere sulle conseguenze della condizione di inferiorità delle donne ed ha premesso il suo attivismo femminista in età adulta. Da giovane si è opposta strenuamente al “destino” di un matrimonio in età precoce, scelta autonoma e senza costrizioni, che ha rimandato a quella adulta.  Impegnata anche politicamente ha fondato “il teatro della libertà” ed iniziato la sua attività di scrittrice, servendosi della scrittura come il mezzo adeguato di denuncia dei tabù della società arabo-islamica: le circoncisioni, la pedofilia, il rapporto tra la sessualità femminile e la religione, l’aborto e la prostituzione. Fatto raro allora per una donna, con il massimo dei voti nel 1955 ha conseguito la laurea in medicina, specializzandosi in psichiatria ed all’inizio ha esercitato la sua professione proprio nel villaggio, dov’è nata. Avendole vissute lei stessa, seppure in parte, ha constatato attraverso la sua pratica medica le conseguenze fisiche e psicologiche delle circoncisioni femminili, le difficoltà enormi e le disuguaglianze subìte dalle sue pazienti, in gran parte residenti in aree rurali. Fin da subito lei si é prodigata a volgere degli aiuti concreti a loro con delle terapie mirate all’acquisizione della consapevolezza della loro dignità. Ciò avviene anche con i suoi libri tratti dalla sua esperienza professionale come per esempio “Memoirs of a woman doctor” del 1958.

Attorno agli anni sessanta é incaricata della direzione del ministero della salute pubblica, dove ha conosciuto il suo terzo marito, anche lui medico, avuto due figli e da cui dopo molti anni si è divorziata. Ha continuato il suo impegno politico attraverso la sua professione e la scrittura con l’intento di scuotere le convinzioni retrogade e di promuovere l’avanzamento di comportamenti etici. Nel 1972 in Egitto ha pubblicato “Donna e sesso”, un vero e proprio atto di denuncia delle condizioni pessime di vita delle donne egiziane e con cui ha riscosso un gran successo, ma purtroppo anche ha determinato il suo licenziamento da parte del ministero della salute. Non è stata l’unica ritorsione inflittale, infatti è stata destituita dal suo incarico di redattrice-capo di “Health”, un giornale sanitario da lei fondato e chiuso dal governo, nonché di segretaria generale aggiunta dell’associazione medica egiziana. Ma lei non desiste, il campo di studio e di impegno politico costituiscono il suo impegno costante. Dal 1973 al 1976 si é occupata delle cause conseguenti alle nevrosi femminili presso la facoltà di medicina dell’università di Ain Shams, successivamente dal 1979 al 1980 un importante incarico internazionale  in qualità di consulente dell’Onu per il programma dedicato alle donne del medio oriente, Ecwa e del continente africano, Eca. Nel 1981 è stata co-fondatrice di “Confrontation”, una rivista femminista, ma essendo nel suo paese considerata come una donna pericolosa dal governo di Sadat, lo stesso anno viene arrestata e detenuta presso la prigione femminile di Qanatir per “crimini contro lo stato”. Seppure incarcerata scrive le tracce di due suoi libri “Woman at point zero” pubblicato nel 1975 e “Memoirs from the Women’s Prison” nel 1983. Ovviamente la detenzione non ha indebolito affatto le sue convinzioni Rilasciata pochi mesi dopo la scomparsa del presidente egiziano, il suo principale accusatore, ha fondato “The arab women’s solidarity assocation”, purtroppo stavolta troppe sono state le minacce da parte di gruppi fondamentalisti islamici ed addirittura si é appalesata la possibilità di condanna a morte per eresia. La condizione di pericolo a danno della sua incolumità é divenuta permanente ed insostenibile, nel 1988  é costretta all’esilio negli Usa, in North Carolina, dove resta cinque anni. Giunta qui ha assunto la docenza presso la Duke university’s asian and african languages department  ed anche presso l’università di Washington, a cui sono seguiti gli insegnamenti presso altre sedi accademiche statunitensi a Harvard, Yale, Columbia, Sorbona, Georgetown ed a Berkeley. Fin dall’inizio del suo soggiorno da esule si é occupata della traduzione inglese dei suoi scritti pubblicati negli Usa e tradotti in più di trenta lingue. Nel 1984 ha contribuito con la scrittura di un capitolo “Quando una donna si ribella” a “Sisterhood is global”, un’antologia edita da Robin Morgan.

Il successo dei suoi libri, l’appoggio persino delle autorità politiche internazionali e l’alta considerazione della pubblica opinione occidentale la sorprendono ancor di più, tenuto conto che i suoi testi sono acclusi persino ai programmi di materie di studio presso le università. Di fatto viene assurta come la prima femminista araba del ventesimo secolo e probabilmente lo é. Per le sue documentate denunce incessanti della condizione d’inferiorità subita dalle donne in Egitto e nel mondo arabo in generale ha dovuto affrontare la persecuzione politica, il carcere e l’esilio; ha tratto dalla sua professione di psichiatra notevole esperienza dei danni reali inflitti alle donne anche fisicamente e la sua permanenza forzata all’estero non la distoglie affatto dai suoi vissuti nel suo paese natìo.  Come altre donne rifugiatesi in occidente a causa delle stesse persecuzioni inflitte a lei, Nawal El Saadawi ha posto dinanzi a tutto il mondo innanzitutto l’emergenza della grave situazione delle menomazioni genitali femminili e dei danni esistenziali conseguenti; l’analfabetismo coatto delle donne arabe, eccetto che rari casi, nonché la strumentalizzazione della religione a fini discriminatori, compresa l’imposizione del velo. Certamente la sua è una battaglia contro l’oscurantismo islamico, ma non distratta dall’oggettivazione e dalla mercificazione dei corpi femminili in occidente. In un’intervista del 2014 ha affermato che “la radice dell’oppressione delle donne risiede nel sistema capitalistico globale postmoderno, sostenuto dal fondamentalismo religioso“.

Tutte le sue energie profuse verso questo impegno sia di militanza che di denuncia svolto anche da altre donne arabe, magari meno note, ma anche loro perseguitate ed esiliate, hanno esitato dei miglioramenti in Egitto con dei diritti conquistati come la possibilità di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome; l’innalzamento dell’età minima per il matrimonio; la configurazione dei reati di circoncisione femminile, della clitoridectomia e dell’infibulazione con la punibilità della detenzione oppure una pena pecuniaria.

Negli anni successivi ha ricostituito “the Arab women’s solidarity association”, l’associazione, che prima del suo esilio aveva fondato in Egitto e che dalle autorità era stata chiusa assieme a “Noon” il suo periodico con un decreto governativo. Nel 1996 é potuta ritornare nel suo paese ed ha pubblicato con case editrici egiziane i suoi libri “Church in Egypt”, “Fall of the Imam” ed  “Al Riwaya”.

Oltre agli incarichi accademici molti sono i riconoscimenti internazionali a lei conferiti: le lauree ad honorem; nel 2004 il premio Nord-Sud dal Consiglio d’Europa; nel 2005 il premio internazionale Inana in Belgio; nel 2012 il Seán MacBride Peace Prize; nel 2016 l’affidamento della direzione del festival letterario “Africa Writes” della Royal African Society a Londra. Incessantemente continua ancora oggi a svolgere delle conferenze, a far sentire la sua voce con interviste rilasciate alle principali emittenti televisive. Dalla sua biografia è stato tratto il film “She spoke the unspeakable”, diretto da Nicholls, trasmesso dalla serie televisiva “One, imagine” della Bbc nel febbraio 2017. E’ scomparsa il 21 marzo 2021 in Egitto.

aggiornato a marzo 2021.

i suoi libri tradotti in italiano:

  • Firdaus. Storia di una donna egiziana, traduzione di Silvia Federici, collana Astrea, Giunti, Firenze, 1986 (romanzo);
  • Dio muore sulle rive del Nilo, traduzione di Irene Pologruto, Eurostudio, Torino, 1989;
  • Una figlia di Iside. L’autobiografia di Nawal El Saadawi, collana Specchi, Nutrimenti, Roma, 2002;
  • Dissidenza e scrittura. Conversazione sul mio itinerario intellettuale, collana Università internazionale del secondo Rinascimento, Spirali, Milano, 2008;
  • Zeinab, traduzione di Federica Pistono, collana biblioteca araba, Atmosphere libri, 2018 (romanzo);
  • Memorie di una donna medico, traduzione di Stefania Dell’Anna, Fandango Libri, Roma, 2019.

premi:

  • Literary Award by the Supreme Council for Arts and Social Sciences, Cairo, Egitto, 1974;
  • Literary Award by the Franco-Arab Friendship Association, Parigi, Francia, 1982;
  • Literary Award of Gubran, (Arab Association of Australia Award), 1988;
  • First Degree Decoration of the Republic of Libya, 1989;
  • Doctorate, University of York, United Kingdom, 1994;
  • Honorary Doctorate, University of Illinois at Chicago, 1996;
  • Honorary Doctorate, University of St. Andrews-Scotland, 1997;
  • XV Premi International Catalunia Award, 2003;
  • Honorary Doctorate Degree, University of Tromsø, Norvegia, 2003;
  • International Writer of the Year for 2003, nominated by the International Biographical Centre, Cambridge, Inghilterra;
  • Great Minds of the 21st Century Award, American Biographical Institute North Carolina, Stati Uniti, 2003;
  • North South Prize 2004, the Council of Europe (Lisbon, 25 ottobre 2004);
  • Inana International Prize, Brusselles Belgio 2005.

articolo di ©Patrizia Cordone – Tutti i diritti d’autore riservati. Sono vietati il “copia-ed-incolla“, il plagio, la contraffazione dei contenuti e di tutti gli usi illeciti a danno della proprietà intellettuale. In ossequio alla normativa dei diritti d’autore e del copyright le infrazioni saranno perseguite con severità e senza indugio presso la competente autorità giudiziaria.