Amīnah al-Sa’īd, una storica femminista egiziana

Illustre sconosciuta in Occidente Amina al-Said è stata la pioniera dell’editoria femminile in Egitto, dei diritti delle donne ed una coraggiosa antesignana nella lotta contro il fondamentalismo islamico nel secolo scorso.

articolo di ©Patrizia Cordone – Tutti i diritti d’autore riservati. Sono vietati il “copia-ed-incolla“, il plagio, la contraffazione dei contenuti e di tutti gli usi illeciti a danno della proprietà intellettuale. In ossequio alla normativa dei diritti d’autore e del copyright le infrazioni saranno perseguite con severità e senza indugio presso la competente autorità giudiziaria.

articolo aggiornato 2024

E’ l’ultima di una generazione di donne egiziane del diciannovesimo secolo, tra suffraggette, dissidenti politiche, sindacaliste ed attiviste per i diritti umani, di cui raccolse il testimonial. Contrapponendosi prima alla dittatura di Nasser e poi al fondamentalismo islamico la sua biografia ed il suo impegno a favore sia dell’emancipazione delle donne egiziane che arabe meritano di essere conosciute. Nata il 20 gennaio 1914 da una famiglia borghese,  si trasferì con il padre medico, Ahmed al-Said, nella contea di Asuit, nota per le sue dure tradizioni e maltrattamenti alle donne.  Ma il padre la educò senza restrizioni, né imposizioni di sorta. Nel corso della sua infanzia fu testimone di una svolta nel calendario femminista, quando le donne a migliaia, guidate da leggendarie femministe come Huda Sharawi, scesero in strada durante la rivoluzione del 1919. Al-Saidvide le femministe egiziane intraprendere la loro crociata dalle solite arene del dibattito intellettuale e delle colonne di giornali portandola nelle strade, nelle scuole e sui posti di lavoro, fino a trasformarsi in un movimento di vasta portata che andava oltre l’Egitto anche nel resto del Medio Oriente e in molte nazioni musulmane. Da giovane lei frequentò proprio questo movimento femminile sorto  con la rivoluzione egiziana del 1919, quindi riuscì a conoscere le femministe antesignane del suo paese e precocemente all’età di quattordici anni aderì all’Unione egiziana femminista.  Nel 1931 fu tra le prime donne a studiare all’Università del Cairo, allora chiamata l’Università egiziana, iscrivendosi alla facoltà di letteratura e lingua inglese. Intanto collaborò sia come ricercatrice che come giornalista al Kawkab el-Shark e settimanalmente presso l’Akher Sa’a: questo impegno giornalistico durò tutta la sua vita. Conseguita la laurea nel 1935 fu assunta dall’Al-Moussawar, quotidiano imporante ed influente del Cairo.  Successivamente sebbene con un esponente milionario dell’aristocrazia egiziana Abdallah Zein el-Abedine, volle contribuire alla gestione economica familiare con la metà del suo stipendio mensile  dal momento che il loro contratto di matrimonio (così si usava allora) è basato sull’uguaglianza.

Donna intraprendente e coraggiosa non lesinò comportamenti eclatanti pur di affermare le sua posizione a favore delle donne. Infatti nel 1946 al-Said solidarizzò con la sua mentore Sharawi contro il playboy King Farouk accusato di misoginia “che le donne trovarono offensive”. Quando il re Farouk divorziò dalla sua prima moglie, la regina Farida, le due femministe condussero un corteo assieme ad altre per congratularsi con Farida per la sua “liberazione”. Questo evento senza precedenti, in un paese in cui la maggioranza è musulmana, non fu disapprovato e non incontrò alcuna seria sfida, dal momento che in questo periodo i fondamentalisti islamici erano  tenuti a bada, non con l’azione di controllo né forza dello Stato, ma dalle illuminate tendenze sociali apportate dai movimenti delle donne .

Nel 1954 al-Said fondò la prima rivista egiziana per donne, Hawaa-Eve, che divenne il modello per le rispettate riviste femminili in altri paesi di lingua araba. La sua coerenza fu tale tanto da essere designata al ruolo di Segretaria generale dell’Unione delle donne della Lega pan-araba, incarico espletato dal 1958 al 1969. Nel 1956 fu eletta nel comitato esecutivo del Sindacato della stampa dopo aver sostenuto lo sciopero della fame ed  i sit-in a favore di di Duriyya Shafiq come obiezione alla censura del Col Nasser. Nel 1959 assunse il ruolo di Vicepresidente dell’Unione dei giornalisti egiziana 1959, che svolge sino al 1970. Quando attorno agli anni sessanta Col Nasser tentò di costringere l’Unione femminista a ritirarsi in un’organizzazione non politica e caritatevole, al-Said trasformò la sua rubrica più popolare, “Isalouni” (“Ask me”)  in un’arena per il dibattito politico. Ligia ad un formidabile equilibrio politico ed al rispetto delle regole eque nel 1962 usò i suoi editoriali su Al-Moussawar per bloccare un attacco selvaggio del governo di Col Nasser favorevole alla demolizione della casa di Huda Sharawi e di costruire un hotel di lusso. In pieno regime dittatoriale questa sua sortita pubblica determinata le valse il titolo  “Lei che non conosceva la paura”, giacché non pochi furono gli oppositori politici, tra cui giornalisti e scrittori, reclusi presso i campi e le prigioni del deserto per aver osato criticare la dittatura di Nasser. Ma un anno dopo il dittatore le riconbbe l’impegno. Altri riconoscimenti statali conseguirono: dal presidente Anwar al-Sadatil Primo Ordine della Repubblica nel 1975 e la Stella Universale nel 1979, mentre dal Presidente Hosni Mubarak il Premio Nazionale delle Arti nel 1982.

A differenza dei suoi predecessori nel settore giornalistico leinon fu mai una portavoce del regime. Quando assunsee la direzione editoriale di Al-Moussawar nel 1973 e  poi la presidenza di tutto il gruppo editoriale di Dar el-Hillel nel 1976, divenne ancora più vigorosa nella sua difesa dei diritti delle donne, poiché gli anni ’70 videro l’inizio della corrente fondamentalista islamica. Fermamente contraria all’uso del velo la sua relazione dell’intervento presso un congresso femminile di Beirut venne successivamente pubblicata su “Middle Eastern Muslim Women Speak,” a cura di Elizabeth Warnock Fernea e Basima Quattan Bezirgan (Università del Texas Press, Austin) ed ecco cosa scrisse: “La società non ha schiavizzato gli uomini con il velo, un’usanza che ha continuato a ostacolare la nostra civiltà (araba) … e che sta ancora impedendo il progresso delle nostre sorelle in più di un paese arabo”. Ed ancora con l’articolo “The Veiled Look: It’s Enforced With a Vengeance”, pubblicato dal Gaza Journal, 22 agosto 1991,  parla della copertura delle teste delle donne “come ingiunto dal Corano (…) Non è decretato nel Corano. La 24a Sura pertinente chiede prima agli uomini di essere modesti e quindi di invitare “le donne credenti … ad essere modeste e di mostrare il loro ornamento solo ciò che è apparente e di disegnare i loro veli sul loro petto …”. Non viene fatto alcun riferimento esplicito a coprire la testa, i capelli o il viso. Lo stesso articolo afferma che fino a poco tempo fa poche donne a Gaza coprivano la testa  (*).

Questo è un punto fermo rispetto al quale lei sgridò letteralmente le donne più giovani per non aver fatto avanzare la causa delle donne e per essersi arretite di fronte all’intimidazione dei fondamentalisti islamici. “Le donne contemporanee [egiziane] non hanno voglia di combattere“, affermò in un’intervista tre giorni prima della sua scomparsa

Dopo il suo ritiro ufficiale avvenuto nel 1985, continuò a scrivere la sua rubrica settimanale fino a quando dovette interrompersi a causa delle condizioni di salute. Fino alle ultime ore della sua battaglia quinquennale contro il cancro fu impegnata con le  rappresentanti delle organizzazioni non governative di donne ed a discutere con loro la migliore strategia per partecipare alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne a Pechino. Scomparve il 13 agosto 1995 a Il Cairo. La notizia del suo decesso viene riportata dal New York Times e dall’Independent con due articoli, non meri necrologi: il suo impegno è stato ben noto oltre i confini egiziani.

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