Ruth Handler, madre di Barbie ed abile imprenditrice

Noto é il produttore della bambola più famosa, odiata ed acclamata in tutto il mondo, evolutasi con  modelli femminili al passo con i tempi fino alla versione “astronauta”, la “Mattel”,  meno Ruth Handler, la sua inventrice, figlia di immigrati ebrei negli Usa. La lettura della sua biografia riserva molte sorprese a cominciare dalle circostanze della sua creazione di “Barbie”, lei che da bambina detestava le bambole, fino alla progettazione di protesi adeguate alle donne operate di mastectomia, a misura di donna, ritenendo inadeguate le altre “perché fatte dagli uomini”. Vi aspettate un carattere docile e remissivo? Non lo fu affatto. 

articolo di ©Patrizia Cordone – Tutti i diritti d’autore riservati. Sono vietati il “copia-ed-incolla“, il plagio, la contraffazione dei contenuti e di tutti gli usi illeciti a danno della proprietà intellettuale. In ossequio alla normativa dei diritti d’autore e del copyright le infrazioni saranno perseguite con severità e senza indugio presso la competente autorità giudiziaria.

Fu una coraggiosa imprenditrice di giocattoli, ispirata da Barbara, sua figlia adolescente a creare “Barbie” per infrangere i cliché e per l’autostima femminile, spinte motivazionali perseguite più avanti negli anni, quando a seguito di una mastectomia creò una sua protesi, a misura di donna.  Nata nel 1916 a Denver, Colorado, Ruth Marianna Moshko, il cognome da nubile, era la figlia più giovane di ebrei polacchi immigrati negli Usa nel 1907. Il padre era fuggito dalla Polonia per non prestare servizio nell’esercito russo; la madre era casalinga di salute cagionevole, tant’è che, non potendola allevare ammalatasi gravemente dopo la sua nascita la affidò a Sarah la figlia maggiore, dove Ruth Handler restò fino all’età di diciannove anni curiosando nella farmacia della sorella. Poco interessata allo studio cominciò presto a lavorare, conobbe suo marito, I. E. Handler, che sposò nonostante la riluttanza della sua famiglia verso di lui, giacché era un artista squattrinato e con lui si trasferì a Los Angeles. Intanto lei trovò lavoro come segretaria presso i Paramount Studios, ma i magri guadagni di entrambi non consentivano di arredare la loro casa, eccetto che per i pochi mobili essenziali. Ma come completare l’arredo? Lavorando già alla progettazione di apparecchi di illuminazione il marito era interessato ad un nuovo materiale di plastica acrilica, finora usata soltanto dall’industria bellica ed escogitò dei progettini di arredo a basso costo a proprio uso familiare. Ma ecco che facendo tesoro delle piccole esperienze imprenditoriali della sua famiglia originaria  per sopravvivere all’indigenza Ruth Handler lo incoraggiò a trasformare questo suo talento in un’attività vera e propria per la produzione di  mobili, di suppellettili e di altri nécessaire anche ad uso personale come gli specchietti ed i porta-sigarette.  Inizialmente il loro piccolo laboratorio era costituito da un microscopico garage, dove lavoravano i pezzi e Ruth Handler si occupava dell’incremento delle vendite curando l’aspetto commerciale. Ma durante la seconda guerra mondiale a causa della produzione ridotta di materie plastiche destinate unicamente ad uso militare la coppia dovette ripiegare verso altri materiali come il legno seppure di qualità scarsa con il successo insperato delle vendite raddoppiate con grande soddisfazione per la “Elzac”, la loro iniziale società formata con un loro finanziatore. Lei confermò la sua capacità commerciale strappando un contratto proficuo alla Douglas Airways per la produzione di modellini di velivoli donati ai passeggeri durante il periodo natalizio: idea geniale, che le assicurò due milioni di dollari. Nel 1945 con questo enorme guadagno conseguito la coppia investì nel nuovo settore dei giocattoli, abbandonando la società precedente e mettendosi in proprio: nacque la “Mattel” da Matt Matson, il nuovo socio esperto di produzione, in seguito ritiratosi per una grave malattia ed “El” da Eliot, il nome del marito. La loro azienda crebbe affermandosi inaspettatamente grazie alle capacità di Ruth Handler. Si considerino tre fattori determinanti: la fine della seconda guerra mondiale, il baby-boom e l’investimento pubblicitario della “Mattel”, la prima in assoluto ad occuparsi della promozione tutto l’anno, non soltanto con i cataloghi e le partecipazioni fieristiche in prossimità delle feste come invece allora avveniva per il settore dei giocattoli. Ma c’è dell’altro: lei studiava, monitorava ed analizzava il processo di vendita, divenendo tra le prime persone esperte sia della previsione delle vendite che dei controlli di produzione. Nel 1955 inoltre pur essendo la televisione ai suoi esordi lei attraverso la “Mattel” offrì la sponsorizzazione esclusiva al programma televisivo “The micky mouse club” della Abc destinato all’infanzia e fu un grande successo, confermandosi un genio del marketing.

Intanto da un’osservazione familiare stava per  giungere il consolidamento della sua azienda. Notava, che Barbara, sua figlia, giocava con le bambole inventandosi delle storie come fossero adulte e che nel 1956 durante una vacanza in Svizzera fu attratta dall’esposizione di bambole più grandi di quelle consuete con diversi abiti. Così ebbe la conferma di un suo intuito di qualche anno prima ed espresso ai suoi collaboratori, peraltro scettici. Infatti si ponevano due problemi ovvero il riscontro commerciale, ma soprattutto il materiale di produzione, essendo fino ad allora di carta ed anche di stoffa per la produzione proprio delle bambole. Intanto acquistò i diritti di “Lilli”, la bambola tedesca, impiegò tre anni per la rielaborazione del disegno, le attribuì il nomignolo di “Barbie” e la presentò all’American Toy Fair di New York, la fiera del giocattolo il 9 marzo 1959. Superate alcune resistenze iniziali dei rappresentanti e grossisti la bambole si impose grazie all’interesse mostrato proprio dalle bambine, così la “Mattel” decollò con un record di vendite mai registrato prima. Seguì anche la produzione di bamboli come Ken, dei vestiti e degli altri accessori per animare i giochi in modo completo; nel 1968 nacque addirittura il “Barbie fan club”, come personaggio-icona venne usato per i cartoni animati. Ma accusando questa invenzione di proporre un pessimo modello educativo troppo ricalcante il consumismo americano non sono mancate le resistenze sollevate da alcuni pochi paesi, seppure pochi, dove non è stata mai commercializzata ed anche da parte di alcune femministe. A queste osservazioni Ruth Handler replicava, che al contrario proprio le rappresentazioni di Barbie in diversi ruoli come ballerina oppure chirurga incoraggiavano le bambine a non precludersi delle possibilità di affermazione una volta raggiunta l’età adulta. Nonostante tutto il successo delle vendite crebbe così tanto, che nel 1960 la “Mattel” divenne una società per azioni, nel 1965 fu menzionata dalla “Fortune 500 list” e nel 1967 lei divenne la presidente della sua azienda. Da lì a poco nel 1975 entrambi i coniugi furono costretti alle dimissioni per alcuni illeciti finanziari. Essendo l’unica responsabile dell’amministrazione aziendale fu incriminata dalla corte federale e le fu sentenziata la condanna commutata da pena detentiva al servizio civile. Non si sottrasse mai alle accuse degli illeciti finanziari, ma le affrontò al meglio che potè stante anche la mastectomia radicale subìta durante quel periodo e la forte depressione conseguente.

Le era difficile accettarsi in quelle condizioni fisiche rese peggiori da protesi ritenute inadeguate “perché fatte dagli uomini”, ma non si arrese. Quindi ricorse alla progettazione di seni artificiali prodotti con schiuma e silicone con l’apporto di un artigiano esperto, P. Massey, costituì la Ruthton Corporation e denominò “NearlyMe” la nuova protesi. A suo modo infranse un tabù, quello dell’accettazione del corpo ammalato per le donne e svolse delle campagne di informazione per la diagnosi precoce del cancro al seno. Così si avviò al secondo periodo della sua vita rinascendo dalle ceneri di uno scandalo finanziario, che avrebbe messo fuori gioco chiunque, ma non lei, donna di tempra fortissima stavolta animata anche da un grande impegno sociale sempre all’insegna dell’autostima femminile.  Trascorse gli ultimi anni circondata dai suoi nipoti, giocando a bridge, tra le sue due residenze a Century city ed a Malibu fino a che non sopravvennero delle complicazioni conseguenti ad un intervento fino alla sua scomparsa all’età di ottantasei anni a Los Angeles nel 2002. Durante gli alti e bassi della sua vita fu la prima donna imprenditrice eletta dal consiglio di amministrazione della Toy Manufacturers Association e della Federal Reserve, fu nominata “Donna dell’anno” dal Los Angeles Times nel 1967, fu insignita del Volunteer Achievement Award dall’American Cancer Society e nominata “Women of Distinction” dall’United Jewish Appeal. 

credit photo mattei 2019
credit photo mattei 2019

Oggi cosa ne é della sua  creatura? Continua l’ostracismo da parte di alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, che dal 2003 ha vietato la vendita della bambola non trovandola conforme ai principi islamici in quanto un simbolo occidentale, decadente e perverso;  il medio oriente ha creato “Fulla” una bambola più accettabile ai suoi standard culturali, ibidem in Iran con “Sara” e “Dara“, mentre in Tunisia ed in Egitto si esporta Barbie.  Ci sono stati  dei tentativi di contraffazione e di concorrenza compiuti dalla MGA Entertainment tramite C. Bryant, ex disegnatore di bambole per la Mattel, riconosciuti colpevoli con la condanna di un risarcimento cospicuo alla “Mattel” per la violazione del copyright. Al passo con i tempi Barbie si é tecnologicizzata con un account Instagram ed un canale youtube. Quanto ai modelli femminili ha continuato ad evolversi proponendosi di volta in volta per esempio come sportiva, pompiera, rapper, donna d’affari, chirurga, astronauta  secondo il Dream Gap Project, l’iniziativa educativa di Mattel per la crescita di consapevolezza delle potenzialità  delle bambine di oggi, che diventeranno adulte senza autolimitazioni, né pregiudizi. A tal fine la linea “Sherodolls” é stata arricchita con le bambole raffiguranti delle disabilità contro ogni pregiudizio di esclusione. Ruth Handler sarebbe stata contenta, lei che negli ultimi anni  lottò per l’accettazione del suo corpo ammalato e delle altre donne; lei, che in gioventù  volle mettere al bando le bamboline con la rappresentazione di un destino segnato da fornelli e pannolini.

bibliografia:

l’autobiografia “Dream Doll: The Ruth Handler Story“,  1995.

articolo di ©Patrizia Cordone – Tutti i diritti d’autore riservati. Sono vietati il “copia-ed-incolla“, il plagio, la contraffazione dei contenuti e di tutti gli usi illeciti a danno della proprietà intellettuale. In ossequio alla normativa dei diritti d’autore e del copyright le infrazioni saranno perseguite con severità e senza indugio presso la competente autorità giudiziaria.